31 mar 2012

Oprah Masterclass - Parte 3



In questa terza parte dell'intervista, Jon parla -argomento più unico che raro- di Alec John Such, il primo storico bassista della band. Poi ci racconta la genesi di It's my life e parla del potere della musica di raggiungere culture e lingue diverse. Buona lettura!

La lealtà assume forme diverse
Alec Such è stata la prima “rockstar” del gruppo. Aveva l'immagine adatta, recitava la sua parte, cantava alla grande, era il leader della sua band quando l'ho portato nella nostra, era matto da legare: pistole, coltelli, droghe, alcol, donne... non si è fatto mancare nulla! Mi ha puntato pure una pistola.. sul serio!! Ma mentre tutti noi eravamo giovani, stupidi, e volevamo divertirci, ad un certo punto cominciammo a fare davvero sul serio. Dopo 5 album stavamo per far uscire il Greatest Hits con un paio di canzoni nuove e lui non riusciva nemmeno a suonarle! “Aspetta un attimo, amico. Non siamo più un gruppetto di ragazzini, stiamo facendo sul serio!” Tutti devono capire il loro ruolo, in uno sforzo comune che prende la forma del ruolo che spetta a ciascuno. Lui sapeva che avremmo.. che avrei dovuto chiamare qualcun altro a suonare quel disco, e ho lasciato che se ne andasse. Che Dio lo benedica, non ha mai scritto un libro né raccontato dettagli ai media, ha abbandonato la scena! Ci disse: “Se non posso essere nei Rolling Stones o nei Bon Jovi, io mollo.” E lo fece, ma il suo posto è rimasto vuoto e non sarà mai più riempito. Perché Al c'era, all'inizio, e questo per me ha significato moltissimo. Le storie che ho con questi ragazzi... abbiamo trascorso più tempo insieme nelle nostre vite, di quanto ne abbiamo trascorso separati! È questa, la semplice verità: ho trascorso 28 anni con questi ragazzi e 21 senza! Abbiamo visto matrimoni, figli, la morte di genitori, divorzi, povertà, ricchezza, il mondo che è cambiato... Un sacco di cose, insieme! Siamo fatti della stessa pasta, siamo tutti nati nello stesso ospedale con lo stesso pediatra, siamo cresciuti tutti bevendo dallo stesso bicchiere! Tutte queste cose insieme creano un'esperienza unica che non ho avuto nemmeno con mia moglie, né con i miei fratelli o i miei genitori perché noi, come gruppo, viviamo questa incredibile storia collettiva da quasi 30 anni e non c'era nessun altro oltre a noi.

Siamo tutti “Frankie”
Non m'interessa se sono 500 o 50.000 persone, per me l'esperienza non cambia neanche un po'. Faccio tutto ciò che è in mio potere per essere al meglio, a prescindere da chi ho davanti. Dico davvero, in tutta onestà, non potrei essere più sincero: non c'è una posa di facciata tra me e il pubblico quando sono lì fuori a fare ciò che faccio. Quello che amo vedere, che sia per 50 o 50 mila, è quello scambio: che sia nei loro occhi o nelle loro azioni, io so quando ho stabilito quella connessione. E se c'è quella connessione, vai a finire su un altro pianeta e non torni finché non è finita, è euforia pura! Per esempio, prendi It's my life: in tutta onestà, ho preso il titolo di sana pianta da The Animals, e siccome non puoi mettere il copyright sui titoli posso dirlo perfino in tv hahaha!! Comunque... ero appena tornato da Roma e Malta, dove avevo girato U-571, avevo avuto la fortuna di essere preso per quel film. Mi sono divertito tantissimo, volevo davvero proseguire la carriera d'attore, ho ritrovato una grande umiltà in quell'arte: mi ha ridato l'esuberanza della gioventù con la consapevolezza acquisita dall'esperienza nell'industria musicale, avevo un enorme successo eppure stavo ricominciando da capo... ero su di giri! Perciò torno da quel set sentendomi parecchio bene rispetto allo stadio attuale della mia vita: il film, scrivere canzoni... Io e Richie siamo lì seduti che facciamo qualche ultimo tentativo per tirare fuori un singolo e io faccio: “Ecco, ne ho uno qui!” Ero molto preso da Frank Sinatra all'epoca, che era appena morto, così ho tirato fuori il verso “like Frankie said, I did it my way!” sapendo benissimo che si trattava di Frank Sinatra che diceva “l'ho fatto a modo mio: ho fatto film quando volevo, dischi quando volevo”... Ero davvero preso da Mr. Sinatra! Richie non ne voleva sapere di quel verso: “chissenefrega di questo Frankie?? Chi è Frankie?? Perché?! Fermati e prova a spiegarmelo!” E io risposi: “Prima cosa, IO devo cantarla ogni sera. Secondo, IO capisco il significato.” Lui rinuncia, la canzone esce e... universalmente, Frankie è diventato te, o il tuo amico, o tuo fratello, o qualcun altro a cui stavi pensando. Quella canzone diede potere a così tante persone perché dicevano “Frankie?! IO sono Frankie!” e tutti diventarono “Frankie”! Parlava di me e del mio desiderio di proseguire la carriera cinematografica e quella musicale allo stesso tempo... Ma quando scrivi una canzone come quella, colpisce quel nervo e non sai da dove viene né perché, ma se viene da quel posto autentico dentro di te, ci sono buone probabilità che arrivi lì anche a qualcun altro.

Siamo più simili tra noi, che diversi
È incredibile, il potere che ha la musica. È incredibile dove possa arrivare la cultura pop americana. È davvero fenomenale, unisce qualunque tipo di cultura e barriera linguistica: non capiscono l'inglese ma capiscono il concetto, non credono nelle stesse cose in cui credi tu, eppure le persone si uniscono. Scopri che anche se qualcuno ha un aspetto diverso da te e diverse esperienze alle spalle, avete un filo che vi unisce. Quando andammo a Mosca per la prima volta, prima della caduta del muro, suonammo al Lenin Stadium dove gli atleti olimpici americani non erano autorizzati ad andare. Ci accorgemmo che, nonostante non fossero stati esposti alla cultura pop nel modo che pensavamo noi.. sai, MTV, queste cose qua... la loro idea e versione di quella cultura c'era, viva e vegeta, nelle loro menti e nei loro cuori. Ci accolsero con la stessa curiosità con la quale noi stavamo accogliendo loro. Eppure noi eravamo cresciuti in un'epoca in cui c'avevano detto che loro erano “il nemico”, “combatti il nemico”, “non farti trovare”... se aveste visto le infrastrutture sovietiche... come quelle che ho visto io allora, scuotereste la testa increduli e direste: “e questi sarebbero i cattivi?!”. Prima di tutto erano persone meravigliose, buone, calorose; non avevano cibo a sufficienza, non avevano infrastrutture per costruire edifici come si deve, quello stadio sembrava avesse 60 anni e ne aveva 20! Le persone sono in genere -in genere, non sempre, ma in genere- brave persone, curiose, amano i loro figli, amano le loro mogli e i loro genitori, amano la loro patria... ma sono comandate dai media, dalla paura, dall'ignoranza che diventa una sorta di arroganza “tu non mi piaci perché hai i capelli viola!” ...prova, magari ti piacciono i capelli viola! Capite cosa voglio dire? Sostituite i “capelli viola” con quello che volete. Tutti noi abbiamo bisogno di diventare ciechi a volte, per riuscire a vedere. 

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